Si moltiplicano senza sosta pareri e studi dedicati all’intelligenza artificiale, spesso caratterizzati nel cercare un equilibrio fra straordinarie opportunità che la digitalizzazione più avanzata può riservare e criticità verso determinati eccessi. Ne sono due significativi esempi gli articoli pubblicati su il Corriere della Sera (27 febbraio) e La Repubblica (1° marzo), rispettivamente a firma di Massimo Sideri e Mariarosaria Taddeo. Scrive Sideri: Quando un libro è costato due anni di faticose ricerche lo si capisce immediatamente perché non asseconda tesi diffuse e consolidate, ma anzi ha il coraggio di metterle in discussione, smontandole con un esercizio certosino di documentazioni e argomentazioni. Il saggio “Profeti, oligarchi e spie. Democrazia e società nell’era del capitalismo digitale” di Franco Bernabè e Massimo Gaggi (Feltrinelli) parte da qui: quante volte in un abusato esercizio delle metafore ci siamo sentiti dire che la tecnologia dell’informazione e la rete internet sono paragonabili all’elettricità e al motore a vapore, le due grandi rivoluzioni sociali e tecnologiche alla base dell’economia moderna? La società dell’informazione — di cui l’intelligenza artificiale con ChatGPT è solo l’ultima espressione — è diventata così per tutti sinonimo di progresso. Bernabè e Gaggi, in un libro ben informato e dunque preoccupante, ci portano a mettere in discussione questo rassicurante dogma contemporaneo…
Il libro indica fra i rischi della digitalizzazione esasperata, priva di etica della “sostenibilità”, il fatto che la digitalizzazione potrebbe sfaldare silenziosamente i capisaldi su cui si basa l’esistenza del cosiddetto “ceto medio”. Come si sottolinea nell’articolo nella rivoluzione tecnologica viene a mancare quella ricaduta sociale che il vapore e l’elettricità hanno avuto, alimentando nuove industrie e nuove ricerche scientifiche, laddove il digitale tende a cannibalizzare tutto e non tollera resistenze alla propria forza gravitazionale. Sempre nel libro si cita come Evan Williams, uno dei padri di Twitter, confessò così nel 2017 al «New York Times» la fine del mito fondativo: «Credevo che dare più libertà alla gente di scambiare idee e informazioni in rete bastasse di per sé a creare un mondo migliore. Sbagliavo…” L’era della digitalizzazione è a suo modo una rivoluzione, ma non sociale. A questa deformazione ha contribuito purtroppo la crisi dell’editoria e della stampa.
Sulla stessa linea analitica è l’articolo di Mariateresa Taddeo, che punta a ribadire la necessità di una governance pluralistica dedicata allo sviluppo dell’intelligenza artificiale: L’arrivo di nuove tecnologie digitali porta spesso con sé delle distrazioni. Nei primi anni 2000 quando iniziava il Web2.0, ci domandavamo se fosse possibile che amicizia e fiducia esistessero online. Nel frattempo, trascuravamo questioni relative alla protezione dei dati e all’autonomia degli utenti. Diciotto anni dopo abbiamo pagato cara la distrazione, quando con Cambridge Analytica abbiamo capito che con il social network si potevano manipolare le opinioni delle persone fino ad alterare i meccanismi di voto.