In base gli scenari delineati dal Centro Studi Confindustria, quando si tratterà di tirare le somme sul 2022 emergerà un impatto dello shock energetico nell’ordine di 110 miliardi di euro per le imprese italiane. Sempre Confindustria ricorda, rivolgendosi prima di tutto alla classe politica e al governo, che spendere bene le risorse del PNRR e farlo nei tempi previsti è cruciale. Dedica attenzione al tema il magazine Affari&Finanza con un articolo a firma di Luigi Dell’Olio pubblicato lo scorso 12 dicembre: L’attuazione del Pnrr, con la capacità di impiegare al meglio le risorse in arrivo, e il contrasto al caro-energia. Si gioca su questi due terreni la capacità di riuscire a superare senza troppi traumi il 2023, un anno che si annuncia difficile per il nostro Paese tra tensioni a livello globale e zavorre che da tempo pesano sulla crescita interna. Dopo un progresso nell’ordine del 3,8% atteso nell’anno che sta per concludersi, nel 2023 il Pil italiano dovrebbe rallentare a un modesto più 0,3% per accelerare solo leggermente (all’1,1%) nel 2024. Le stime della Commissione europea evidenziano le difficoltà che ci attendono, a fronte di un’inflazione che resta molto elevata e di un tasso di disoccupazione atteso in risalita di quattro decimali (all’8,7%) e a fronte di consumi che resteranno sotto pressione anche a causa dei nuovi rialzi dei tassi attesi dalla Banca centrale europea.
Come si sottolinea nell’articolo, in questo scenario l’arrivo dei fondi legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza è atteso “come una manna dal cielo”. Ricordiamo che a inizio novembre la Commissione Ue ha dato il via libera al pagamento della seconda tranche da 21 miliardi di euro dopo aver attestato il raggiungimento dei 45 traguardi e obiettivi previsti dal piano. Tra questi, l’avvio delle riforme della pubblica amministrazione, degli appalti pubblici e della professione di docente e gli investimenti in settori chiave come il 5G, la ricerca e l’inno l’innovazione, il turismo e la cultura. Così nell’articolo di Dell’Olio: Il pagamento di questa rata, che segue il prefinanziamento di oltre 24 miliardi avvenuto nell’estate del 2021 e il versamento della prima rata di 21 miliardi lo scorso aprile, rappresenta un ulteriore rilevante passo in avanti nel percorso di attuazione delle riforme e degli investimenti previsti dal PNRR. Tuttavia il difficile arriva ora. Il nuovo governo ha fatto sapere che il piano andrà rivisto soprattutto a causa dell’iperinflazione che ha fatto impennare i costi dei materiali.
La previsione di spesa concordata con Bruxelles era di 42 miliardi di euro alla fine di quest’anno, poi rivista al ribasso una prima volta a 33 miliardi e una seconda a 22 miliardi, ma anche quest’ultima soglia appare difficile da raggiungere: L’esecutivo nazionale sottolinea che non si può non considerare che il piano è stato scritto prima della guerra in Ucraina e dell’ulteriore impennata dell’inflazione e quanto accaduto rende necessaria una revisione. Anche perché le condizionalità delle risorse comunitarie stanno spingendo l’Italia ad adottare riforme che si attendevano da diversi lustri e che sono destinate a produrre benefici per la crescita su base strutturale.
Per il Sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti il mondo delle telecomunicazioni deve evolvere anche al di là delle questioni legate all’accesso alla rete. Naturalmente strategici restano comunque i temi dello sviluppo della banda ultralarga e del 5G, dove il Governo non esclude interventi straordinari. Un’anticipazione alle dinamiche del 2023 che il Sottosegretario ha espresso durante il convegno “Telco per l’Italia” organizzato dal gruppo editoriale Digital 360, al quale appartiene anche la testata Cor.Com – Il Corriere delle Telecomunicazioni. Proprio Cor.Com ha dato ampio spazio all’incontro con Butti, con un articolo a firma di Federica Meta pubblicato lo scorso 14 dicembre: “Il tavolo con gli operatori – ha spiegato – punta a mettere tutti nella condizione di contribuire e capire le intenzioni del governo su quello che insieme andremo a fare sulle Tlc”. Settore protagonista di una crisi determinata dalla guerra dei prezzi “che assottiglia i margini delle aziende con effetti negativi sul processo di manutenzione delle reti e, dunque, sulla qualità dei servizi offerti agli utenti finali”. Ma, secondo Butti, non è solo la questione dei prezzi a zavorrare il settore. Tra i problemi citati dal sottosegretario, il “combinato disposto” della difficoltà a trovare la forza lavoro e il caro energia.
Come sottolineato nell’articolo di Federica Meta, per quanto riguarda la banda ultralarga Butti ha evidenziato i ritardi rispetto ai target previsti per la fine dell’anno. “In questo quadro – ha detto – è necessario dotarsi di strumenti in grado di accelerare. Il ministro, Raffaele Fitto, e il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, convocheranno spesso la cabina di regia del Pnrr: vogliamo utilizzare al meglio quelle risorse per la rete a banda ultralarga e il 5G, anche pensando all’esercizio dei poteri sostitutivi”. Ma per Butti anche uno sforzo eccezionale su reti e connettività non sono sufficienti. A detta del Sottosegretario serve un cambiamento più strutturale nel modello di business, che deve allargarsi a nuovi orizzonti, guardando al mondo dei nuovi servizi e alle integrazioni con altri settori verticali, da Industria 4.0 all’automotive, passando per la sanità e la smart mobility. Queste riflessioni sono giunte a completamento di quanto espresso da Butti il 12 dicembre in un’audizione alla camera dei deputati. Un’occasione nella quale parlando della rete unica Butti ha preferito chiamarla “rete nazionale”. Sempre Cor.Com, in un articolo del 13 Dicembre, cita l’intervento del Sottosegretario e riporta: Cessiamo gli equivoci su rete unica e non unica che va chiamata rete nazionale”, ha chiarito Butti, spiegando di aver ereditato una situazione complessa. “Ma il governo conferma i propri obiettivi nell’interesse dell’Italia, delle sue aziende, dei suoi cittadini e consumatori, e cioè tutelare gli interessi nazionali, delle società coinvolte e dei loro azionisti; garantire il controllo pubblico a questa infrastruttura nazionale fondamentale per il nostro Paese; dare attuazione piena alle norme nazionali e comunitarie; garantire, infine, gli equilibri economici, finanziari ed occupazionali”.
Come hanno sottolineato tutti gli organi di stampa, c’era grande attesa per la riunione del consiglio di amministrazione e l’incontro tecnico al tavolo istituito dal governo – entrambi in programma per giovedì 15 dicembre – tra Cassa depositi e prestiti e gli altri principali soci di TIM, con l’intento di trovare entro fine anno una soluzione per creare un’infrastruttura di telecomunicazioni nazionale.
Subito dopo l’incontro ha rivolto attenzione al tema La Repubblica con un articolo a firma di Sara Bennewitz pubblicato lo scorso 16 dicembre: Il primo tavolo tecnico tra gli esponenti del nuovo governo di Giorgia Meloni e gli azionisti di Telecom Italia per assicurare il controllo della rete di telefonia fissa e dei cavi sottomarini di Sparkle in mani pubbliche, si è svolto al ministero dello Sviluppo economico in un clima definito “costruttivo”. Tant’è che è stato già convocato un nuovo incontro per martedì prossimo, e pre-allertata una seconda riunione tra Natale e Capodanno. C’è la voglia da parte delle istituzioni di accelerare, e anche l’azienda quotata, gravata da 25 miliardi di debito, non ha certo tempo da perdere.
Come ricordato nell’articolo, era la prima volta i due soci forti di Tim, vale a dire la Cassa Depositi Prestiti (con il 9,9% del capitale) controllata dal Tesoro, e la francese Vivendi (23,8%), si sono incontrati per discutere su nuove basi, diverse da quelle del progetto di rete unica per intrecciare le infrastrutture di Tim e di Open Fiber, cha ha la Cdp come primo socio. Prosegue l’articolo: Anche se la strada è ancora lunga: il nuovo governo non ha ancora assunto in via formale un advisor per assisterlo in questa partita, mentre il precedente governo Draghi aveva dato mandato a Lazard come advisor finanziario del Tesoro nell’operazione.
Nello stesso 15 dicembre c’è stato poi un consiglio di Tim, che all’ordine del giorno aveva l’approvazione del budget e la sostituzione del consigliere Frank Cadoret, in quota Vivendi che si è dimesso un mese fa. Su indicazioni di Vivandi è stato eletto all’unanimità Massimo Sarmi, già AD di Poste Italiane, manager dichiaratamente stimato anche dal ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti, che essendo presidente dell’Asstel e della rete secondaria di Tim (Fibercop) non ha potuto avere i requisiti di indipendenza. Classe 1948, Sarmi ha iniziato la sua carriera professionale in Sip, diventando nel 1995 direttore generale della divisione mobile, e tre anni dopo della capogruppo Telecom, da cui se n’è andato nel 2000 per andare a guidare Siemens Italia. Prosegue Sara Bennwitz: Sarmi è quindi un consigliere non esecutivo di Tim, ma dopo mesi di discussioni sulla sua nomina, tutte le riserve di Cdp al riguardo della candidatura di Sarmi sono venute meno: il presidente della Cassa, Giovanni Gorno Tempini è tra i membri del cda di Telecom che ieri ha votato a favore alla sua nomina di consigliere non esecutivo. Infine ora che è stato approvato il budget del 2023, l’ad di Tim Pietro Labriola potrà affinare il nuovo piano industriale da presentare al mercato il 14 febbraio, tenendo a mente che gli investimenti delle aree grigie delle gare del Pnrr aggiudicate a luglio accumulano già tre mesi di ritardo e hanno costi superiori al budget, a causa del caro materie prime.
Sempre nell’articolo si ricorda infine che ora che è stato approvato il budget del 2023, l’AD di Tim Pietro Labriola potrà affinare il nuovo piano industriale da presentare al mercato il 14 febbraio.
La mobilità sostenibile è una delle principali sfide che si sono date le istituzioni europee e si è compreso ampiamente che si potrebbe tramutare in tante opportunità sia per i cittadini sia per le aziende fin dai prossimi anni. La sinergia tra digitalizzazione, innovazione e mobilità è talmente importante da rientrare tra i punti cardine delle prossime riforme, anche in Italia. Il Ministero dell’Innovazione e delle Tecnologie proporrà un piano nazionale di che sfrutterà le potenzialità della tecnologia per migliorare la mobilità sostenibile. Sarebbe utile che le aziende, specie le piccole e medie imprese, siano sempre più consapevoli dell’importanza della digitalizzazione nel contesto della mobilità sostenibile. La transizione energetica e l’accelerazione verso la trazione elettrica sta trasformando la geografia dell’automotive. Importante notare come il cambiamento non riguarda solo le case costruttrici ma anche i fornitori di componenti. Dedica attenzione al tema il quotidiano Il Sole 24 Ore, con un articolo a firma di Mario Cianfone, strutturato con un’intervista ad Alessandro De Martino, amministratore delegato di Continental Italia, multinazionale che si trova coinvolta nella rivoluzione elettrico-digitale a 360 gradi dai pneumatici all’infotainment, dalle soluzioni per la guida assistita e la mobilità del futuro fino ai sistemi per le vetture a ioni di litio. Prospettive incoraggianti, non senza però degli ostacoli da superare: Nel percorso evolutivo dell’auto, verso digitalizzazione, elettrificazione e guida assistita, si è però posto l’ostacolo del chip shortage, cioè la carenza di semiconduttori che ha rallentato produzione e consegne. Secondo De Martino questo choc ha portato ad accelerare una revisione della cultura ingegneristica che ora punta alla progettazione di auto dove il numero dei chip è ridotto perché si tenderà a usare poche centraline/unità centrali che svolgono un maggior numero di compiti. Questo cambiamento è agevolato anche dalla semplificazione insita nelle auto elettriche. La rivoluzione delle vetture a zero emissioni, e la spinta delle case verso il premium con strategie che privilegiano i margini e non i volumi, implica che nei prossimi anni si venderanno meno macchine. «È vero – dice De Martino – si venderanno meno auto ma a più alto valore e in ogni caso bisogna considerare che stanno cambiando i modelli di consumo con la diffusione dello sharing e di varie forme pay per use. E qui secondo me nei canoni andrà inserito anche il costo della ricarica». Insomma un costo d’uso generale e questo potrebbe essere un cambiamento epocale nella mobilità con un modello di consumo più simile a quello degli smartphone o di Netflix e forse più vicino anche alla cultura delle nuove generazioni.
Come hanno evidenziato tutti i principali organi di stampa, sembra che nelle ultime settimane la politica industriale del 4.0 stia tornando all’attenzione della politica. Il motivo contingente riguarda le scelte fatte dal governo Meloni in materia di manovra finanziaria, che hanno alimentato il dibattito, in particolare da parte Confindustriale. Da qui una fitta rete di contatti e l’idea di affrontare alcune di queste partite legate alle agevolazioni fiscali per favorire gli investimenti con dei tavoli ministeriali convocati ad hoc, già forse nella prima decade di dicembre. Dedica attenzione al tema il magazine Affari&Finanza con un articolo a firma di Dario Di Vico pubblicato lo scorso 5 dicembre: Con una procedura inedita in Italia, la premier Giorgia Meloni ha ricevuto uno dei leader delle opposizioni parlamentari, Carlo Calenda, proprio in merito a possibili miglioramenti del testo della manovra. Ebbene come tutti sanno Calenda è stato il ministro del governo Renzi che diede il via all’esperienza di Industria 4.0 fino a farne quasi un brand del suo successivo ingresso in politica. Ed era pressoché scontato che il leader di Azione nei suoi colloqui con Meloni e i ministri competenti tirasse fuori i temi del finanziamento dell’innovazione e quindi del 4.0.
Sempre nell’articolo si cita il significativo commento di Stefano Firpo, oggi direttore generale di Assonime e primo estensore del Piano 4.0, che ha ricordato come la manovra varata con Calenda è stata sicuramente un’esperienza di politica industriale che ha funzionato, perché è riuscita a concentrare sull’obiettivo risorse significative e ha utilizzato il tradizionale canale di ammodernamento tecnologico degli imprenditori italiani (il rinnovo del parco macchine). Così l’articolo: Più Pmi ne hanno usufruito, ma in misura (finanziaria) minore. È una fase che è stata scandita dai due governi presieduti da Giuseppe Conte e che hanno visto come responsabili del Mise prima Luigi Di Maio e poi Stefano Patuanelli. «Al di là però dell’avvicendarsi di ministri, che magari avevano una visione differente del 4.0 e delle platee di riferimento, un limite che non si è riusciti a valicare è stato quello di non aver creato — come era nelle ambizioni di partenza — quella infrastruttura di politica industriale che è la forza dei nostri partner europei e che alle nostre Pmi sarebbe servita come il pane», spiega Firpo. La parola d’ordine iniziale era «costruiamo i Fraunhofer italiani» con riferimento a quelle “case” dell’innovazione e del trasferimento tecnologico vanto del sistema tedesco, ma onestamente non è andata così.
L’articolo si chiude con la considerazione che bisognerà incominciare a concretizzare un nuovo dialogo tra governo Meloni e Confindustria, che può che orientarsi alla ricerca di soluzioni costruttive e non conflittuali. Come ha ribadito anche Alfredo Mariotti, direttore di Ucimu, il presupposto è quello di rendere «strutturale» il finanziamento del 4.0.
Cambio al vertice di Vodafone: lascia a fine dicembre Nick Read, attuale amministratore delegato del Gruppo e arriva l’Italiana Margherita Della Valle. Una decisione repentina, tanto è vero che la Della Valle, attuale responsabile finanza del Gruppo, manterrà ad interim anche questo incarico in attesa che la ricerca di un nuovo group chief executive da parte del consiglio di amministrazione porti all’individuazione di un nuovo amministratore delegato. Rivolgono attenzione al tema diversi organi di stampa, fra cui La Repubblica con un articolo a firma di Sara Bennewitz pubblicato lo scorso 6 dicembre: Dopo quattro anni alla guida di Vodafone, Read lascia le sue deleghe a interim a Margherita Della Valle, attuale cfo del gruppo, numero due nei piani di successione, per anni braccio destro di Vittorio Colao. L’ex ministro del governo Draghi è stato ceo di Vodafone dal 2008 al 2018. Della Valle è una delle quindici donne più in vista del Ftse 100, l’indice principale della Borsa di Londra: bocconiana doc – tanto che quest’anno è stata insignita del premio Alumni dell’università milanese – si è sempre spesa in prima persona per la parità di genere e per agevolare la crescita delle quote rosa ai vertici delle aziende quotate. Chi la conosce la descrive come una donna preparata e una lettrice indefessa, amante dei libri che raccontano le avventure dell’esploratore Ernest Henry Shackleton, noto per aver portato in salvo tutta la sua squadra da una drammatica spedizione al Polo sud. Sposata con due figli, viene descritta dai suoi collaboratori come una manager che sa ascoltare, che si spende in prima persona e che va al lavoro a piedi.
A questo punto, come sottolinea l’articolo su La Repubblica, toccherà alla 57enne Della Valle, tirare le fila del gruppo, e provare a ripartire proprio dall’Italia, trovando anche un compromesso con l’azionista Niel. Ricordiamo infatti che Iliad, nel marzo scorso, aveva offerto 11,2 miliardi di euro per la divisione italiana del Gruppo Vodafone. Ma allora il board, sotto la guida di Read, aveva rigettato l’offerta di Niel perché «non era nel miglior interesse degli azionisti di Vodafone». Sempre nell’articolo si ricorda: «Un cambio al vertice ha senso solo se il nuovo ad ha una strategia chiara e condivisa con il board – ha dichiarato ieri Niel, strizzando l’occhio a Della Valle – e questa road map dovrebbe puntare a razionalizzare Vodafone: vendere le infrastrutture approfittando degli alti multipli del settore per ridurre i debiti, puntare sulla generazione di cassa e migliorare i margini».
“Sono stati salvaguardati circa 430 milioni di euro”, ha commentato il Ministro per le imprese e Made in Italy, Adolfo Urso. La Ue ha approvato la misura, che era in scadenza il 15 dicembre, per i sostegni alle imprese, soprattutto PMI, per i servizi di connettività in banda ultralarga. Inoltre, sempre il Ministro, ha affermato che sono in corso interlocuzioni con la Commissione europea per come utilizzare le risorse del PNRR anche dopo la scadenza del 31 dicembre. Dedica attenzione al duplice tema Cor.Com – Il Corriere delle Telecomunicazioni, con un articolo a firma di Federica Meta pubblicato lo scorso 6 dicembre: “È arrivata al nostro ministero l’autorizzazione della Commissione europea per prorogare nel 2023 i voucher per la banda ultralarga destinati alle piccole e medie imprese e ai professionisti con partita Iva – ha detto Urso – Questa decisione permetterà di salvaguardare oltre 430 milioni, quasi tre quarti delle risorse che erano state complessivamente stanziate, che erano rimasti non utilizzati, che oggi siamo in condizione di poter assegnare e che saranno usati il prossimo anno”. La misura sarebbe scaduta il 15 dicembre e per questo il ministero delle Imprese aveva chiesto il prolungamento fino al 31 dicembre del prossimo anno. La misura si rivolge alle imprese e alle persone fisiche titolari di partita Iva presenti su tutto il territorio nazionale che potranno richiedere un contributo, da un minimo di 300 euro ad un massimo di 2.500 euro, per servizi di connettività a banda ultralarga da 30 Mbit/s ad 1 Gbit/s (e superiori).
Sempre nell’articolo si sottolinea come la misura è coerente con la Strategia Italiana per la banda ultralarga, che detta i principi in base ai quali sono adottate le iniziative pubbliche a sostegno dello sviluppo delle reti in Italia, ed è finanziata con i Fondi Sviluppo e Coesione (FSC) 2014-2020. Ancora nell’articolo si ricorda che in audizione il Ministro si è anche soffermato sul piano Transizione 4.0, per il quale non sono previste misure ad hoc nella manovra 2023 ma che verrà finanziato, stando alle intenzioni del governo, in provvedimenti successivi: La Corte dei conti ha evidenziato l’impatto che le misure per la Transizione 4.0 e la Nuova Sabatini hanno sul sistema Paese. In particolare la Nuova Sabatini nel corso degli anni “si è mostrata efficace nell’aiuto al finanziamento degli investimenti privati, in particolare in quelli utili alla trasformazione digitale”, spiega la magistratura contabile. “Negli ultimi esercizi lo strumento agevolativo ‘Nuova Sabatini’ è stato destinatario di un flusso costante di stanziamenti, in ragione della domanda elevata da parte delle imprese”, si legge nel documento Audizione sul bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025. In dettaglio, la spesa stanziata ammonta a circa 500 milioni nel 2020, 1,5 miliardi nel 2021 e circa 600 milioni nel 2022. A legislazione vigente le risorse previste ammontano a 500 milioni per il 2023 e 300 milioni per il 2024.
Il fondo statunitense Kkr sarebbe nuovamente disponibile a lanciare un’offerta su Tim ma solo se anche il governo Meloni “accetta di essere un partner nell’affare”. I rumors rilanciati dall’agenzia Bloomberg e ripresi da tutti i principali organi di stampa hanno fatto fare un balzo al titolo del 4%. Il fondo, secondo l’agenzia, vorrebbe creare una joint venture con una società o un veicolo partecipato dallo Stato. Dedica attenzione all’argomento anche Il Corriere della Sera, con un articolo pubblicato lo scorso 10 dicembre: Kkr ci riprova con Tim. Il fondo americano che un anno fa era pronto a lanciare un’Opa da 11 miliardi per l’intera società di telecomunicazioni, ieri si sarebbe fatta di nuovo avanti e starebbe valutando un’offerta, questa volta però solo per la rete e a condizione che il governo accetti di essere partner nell’operazione. L’indiscrezione di Bloomberg, piombata nel mezzo delle strategie dell’esecutivo Meloni sull’ex monopolista di Stato, ha sferzato il titolo, salito del 4% e attestatosi a 0,20 centesimi di euro a fine seduta. Kkr — che già possiede una quota di minoranza in Fibercop, la controllata di Tim specializzata in fibre ottiche, del valore di 2 miliardi di euro — avrebbe recapitato a Roma la sua disponibilità, ma solo come parte di una joint venture con un’azienda sostenuta dallo Stato o nel caso venisse creato un nuovo veicolo finanziario di proprietà pubblica.
Kkr sarebbe quindi interessato anche a soluzioni che il Governo stesso potrebbe proporre. Sempre secondo le indiscrezioni raccolte dagli organi di stampa, il fondo però avrebbe detto chiaramente che sarebbe pronto solo a valorizzare la rete, nessuna Opa all’orizzonte. Probabile che a rispondere a questi requisiti sia di nuovo Cassa Depositi e Prestiti, socia al 10% della telco, e nei giorni scorsi ritiratasi dall’offerta per acquisire l’infrastruttura di Tim e fonderla con Open Fiber creando così la rete unica. Nell’articolo del Corriere della Sera si sottolinea: L’esecutivo però avrebbe già manifestato chiaramente il suo orientamento, ovvero non cedere la maggioranza della società di Tlc ai fondi. Il memorandum of understanding che prevedeva l’offerta di acquisto della rete con Cdp al 35% e Kkr e Macquarie al 65% si sarebbe arenato anche per questi motivi. Il sottosegretario con delega all’Innovazione, Alessio Butti, ha confermato che «per ora» non c’è alcuna un’acquisizione completa di Telecom Italia. Secondo altre indiscrezioni riportate invece da Reuters, sarebbe la stessa Tim a sondare l’interesse degli investitori per i suoi asset e il ceo Pietro Labriola starebbe lavorando per la Netco in particolare con il fondo Usa, ma avrebbe preso contatti pure con Iliad e Poste.
Secondo il report di aggiornamento recentemente pubblicato da Open Fiber, la velocità di costruzione dell’infrastruttura nelle cosiddette Aree Bianche è in linea con le tempistiche condivise nel giugno scorso con Infratel ed il MISE e presentate ad inizio luglio al Comitato Interministeriale per la Transizione Digitale. Dedica attenzione al tema Borsa Italiana, con un articolo pubblicato lo scorso 29 novembre sulla propria testata online: Al 31 ottobre 2022, infatti, sono stati realizzati oltre 53.000 km di rete, ovvero il 60% del totale previsto dal piano. Nei soli 10 mesi da inizio 2022 al 31 ottobre sono stati costruiti circa 15.500 km di infrastruttura, che si prevede saliranno a circa 20.000 per fine anno: in soli 12 mesi, quindi, i km realizzati saranno più del 50% dei 37.000 km circa costruiti nei quattro anni che vanno dall’inizio delle attività nel 2017 a fine del 2021. “Con oltre centomila chilometri di infrastruttura costruita, già oggi abbiamo la rete di accesso in fibra più estesa d’Italia, abbiamo investito 4,5 miliardi di un piano che vale 15 miliardi ed il prossimo anno prevediamo di investirne altri due. In sintesi: abbiamo iniziato a correre”, commenta l’Amministratore delegato del gruppo Mario Rossetti sulle pagine del Corriere della Sera.
Come sottolineato nell’articolo, i Comuni oggi coperti dall’infrastruttura FTTH di Open Fiber sono 3.770, pari a circa il 60% del totale dei 6.232 comuni previsti dalla Concessione Infratel. A questi Comuni corrispondono circa 3,47 milioni di Unità Immobiliari (+43% rispetto alla fine del 2021). Dalla fine del 2021 sono stati completati 1.160 nuovi Comuni per circa 1,05 milioni di nuove Unità Immobiliari (2,64 milioni di Unità Immobiliari in vendibilità, +44% rispetto alla fine del 2021).
Sul delicato tema dei ritardi rispetto al cronoprogramma originario, lo stesso Rossetti ha dichiarato: “Ci sono stati doversi fattori che hanno ritardato i programmi sin dall’inizio a partire dalla burocrazia, altri si sono acuiti nell’ultimo anno, come la mancanza di manodopera specializzata nei cantieri”.
Ancora nell’articolo: …sulla manodopera che scarseggia il manager ha spiegato che attualmente nei cantieri sono impiegate 2000-3000 persone, ma ne serviranno 4000-5000 per completare i piani, considerando anche le aree grigie e nere.
Interessanti dati emergono dall’indagine sulla presenza in Italia dei maggiori gruppi mondiali Software & Web realizzato dall’area Studi di Mediobanca. La ricerca analizza i primi nove mesi 2022 e quelli del triennio 2019–2021 delle 25 maggiori WebSoft internazionali, con ricavi superiori a 12 miliardi di euro ciascuna, di cui 11 hanno sede negli Stati Uniti, nove in Cina, due in Germania e Giappone e una in Corea del Sud. Rivolge attenzione alla ricerca Cor.Com – Il Corriere delle Telecomunicazioni, con un articolo pubblicato lo scorso 30 novembre, puntando prima di tutto a sottolineare lo sviluppo delle risorse umane impiegate: Il numero dei dipendenti è aumentato di circa 4mila unità rispetto al 2020: si tratta in prevalenza di assunti dal gruppo Amazon, che in Italia è quello che conta sul maggior numero di dipendenti: 11.911 nel 2021. Quanto al versante fiscale, i giganti del Web hanno versato in Italia 150 milioni di euro in tasse, pari a un tax rate del 25,1%, ma si arriva al 33,5% se a questo si aggiungono anche gli accantonamenti per il pagamento della digital service tax.
Sempre nell’articolo vengono evidenziati alcuni dati particolarmente significativi per tracciare lo scenario attuale del settore e le principali prospettive future a livello internazionale: tra gennaio e settembre 2022 i maggiori operatori sono cresciuti in termini di fatturato aggregato del +9,5% (sui primi nove mesi 2021), con situazioni diversificate a livello geografico – spiega il report di MedioBanca – il Nord America (+13,7%) tiene più di Europa e Asia la cui crescita è limitata a una singola cifra (rispettivamente +8,2% e +6,6%), con l’America Latina in forte accelerazione (+24,9%), pur con valori ancora contenuti (1,5% del fatturato complessivo). Il ritorno alla normalità dopo la pandemia si riflette nel rimbalzo dei comparti più penalizzati da Covid-19: sharing mobility (+111,6% di ricavi a/a) e vendite online di viaggi (+55,5%). L’incremento del giro d’affari appare invece più contenuto per quei settori che avevano già beneficiato dei cambiamenti nelle abitudini dei consumatori, come ad esempio il food delivery (+27,0%), cloud (+21,3%) ed e–commerce (+3,8%).
Ancora nell’articolo di Cor.Com si sottolinea: A differenza delle multinazionali manifatturiere, che nel periodo 2019-2021 hanno registrato una crescita dei ricavi del 7,6%, le WebSoft hanno marciato a un passo più sostenuto con il loro +50% di fatturato nello stesso periodo. I primi tre player, inoltre (Amazon, Alphabet e Microsoft), rappresentano la metà dei ricavi aggregati, con Amazon (414,8 miliardi di euro, di cui il 50,9% generato dal retail), in prima posizione dal 2014, che ne concentra da sola oltre un quarto.