Non sono sufficienti 20 miliardi di euro d’offerta per la NetCo di Tim secondo Vivendi, primo azionista della società con il 24%. Per i soci francesi sia Cdp-Macquarie che il fondo americano Kkr devono offrire di più se vogliono la rete infrastrutturale nella quale confluiranno anche i cavi sottomarini di Sparkle. Lo ha dichiarato lo stesso AD di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, mercoledì 8 marzo, durante la conference call per la presentazione dei conti 2022 del colosso francese, ribadendo che le proposte arrivate sul tavolo di TIM sono “molto inferiori al reale valore di questa bella azienda che è Telecom Italia”. Come noto, Cdp e il fondo private equity infrastrutturale australiano avevano ricevuto il via libera dal governo e hanno presentato un’offerta non vincolante per la NetCo nell’arco dei 20 miliardi, migliorativa in termini di contanti di 1,5/2 miliardi rispetto ai 18 miliardi +2 di bonus offerti dal fondo americano ad inizio febbraio, che però sarebbe pronto ad aggiungere 7 miliardi per investimenti per sviluppare l’infrastrutturazione a banda ultralarga. Lo scenario resta quindi complesso e, secondo tutti i principali osservatori e organi di stampa, sussiste il rischio di uno stallo nelle trattative. Fra le testate che si occupano dell’argomento si colloca Affari Italiani, con un articolo di Marco Scotti pubblicato lo scorso 11 marzo: “Take private”. È questo l’idea che rimbalza nelle diverse stanze dei bottoni quando si parla di Tim. Che cos’è il take private? Si tratta dell’acquisto delle azioni di una società quotata in Borsa da parte di un fondo di private equity o da una pluralità di soggetti. E questa soluzione inizia a prendere corpo perché appare evidente che ormai si sia arrivati a una situazione di muro contro muro e di veti incrociati. Cdp ha fatto un’offerta che valuta la rete 18 miliardi ma con un minore peso di Fibercop (la rete secondaria che dalla “cabina” in strada arriva nelle case degli italiani). Kkr ne ha messi due in più sul piatto ma contando FIbercop come se valesse 10 miliardi (contro i 6 di Cassa Depositi e Prestiti). I francesi di Vivendi, dal canto loro, nonostante abbiano svalutato la loro partecipazione in Tim, non hanno alcuna intenzione di cedere un asset strategico per meno della cifra che hanno stabilito, cioè 31 miliardi. Si può ipotizzare che si arrivi a 26-27 con trattative estenuanti? È possibile, ma certo se le premesse sono queste l’accordo appare complicato.
Come viene sottolineato nell’articolo di Affari Italiani, bisogna inoltre considerare che per vendere la rete bisogna anche cambiare l’oggetto sociale. Tim, infatti, è specializzata nella vendita di servizi di rete. Per una modifica così sostanziale potrebbe essere necessario alzare il quorum. L’opzione preferita dai francesi resta un’opa con conseguente delisting, ma il governo italiano, che invece spinge per una rete unica nazionale, starebbe lavorando ad una soluzione che andrebbe a coinvolgere Cdp e Kkr, avvicinandosi ai francesi in termini di valutazione. Già nelle scorse settimane, a fronte di incontri con tutte le parti in campo, sarebbe emersa l’idea di spacchettare la NetCo: al fondo Usa si darebbe la disponibilità per un’offerta sulle aree nere, cioè quelle a più alta concorrenzialità, mentre la Cassa potrebbe integrare le aree bianche e le aree grigie per le quali sarebbe meno complicato ottenere il via libera dell’Antitrust Ue per l’operazione di fusione
“La nuova consapevolezza per aziende e cittadini dell’era post digitale”: è questo il titolo di un interessante intervento del Direttore di DEVO Lab – Università Bocconi, Gianluigi Castelli, pubblicato lo scorso 12 marzo sulle pagine del quotidiano Il Sole 24 ore. La tesi di fondo dell’intervento si colloca nella considerazione che troppo spesso le tecnologie vengono applicate senza sapere bene perché: riconoscerne il valore (e conoscerle a fondo) è fondamentale per avviare una trasformazione efficace e positiva che si traduca in innovazione reale, di processo o di prodotto. Le potenzialità straordinarie della digitalizzazione dell’intelligenza artificiale si legano indissolubilmente anche a temi etici di grande rilevanza, sia all’interno delle aziende che nell’intera società: Il successo di ChatGPT sta riportando all’attenzione del grande pubblico e delle imprese le tecnologie digitali, con ampi dibattiti sui pro, i contro, le opportunità, i rischi e gli aspetti etici. Tutto questo è già successo in passato e continua a succedere: ogni volta che una nuova tecnologia appare sembra che il mondo intero debba improvvisamente cambiare. È successo con la stampa 3D, la blockchain, l’Internet delle cose, i Big Data. Anni fa Gartner tracciò una curva empirica che continua a mostrarsi valida ancor oggi: all’apparire di una nuova tecnologia si accende l’entusiasmo e rapidamente si raggiunge un picco di aspettative, quasi sempre immotivate per non dire irrealistiche. Dopo breve tempo, però, subentra una fase di disillusione, a sua volta seguita da una lenta fase di nuovo apprezzamento che culmina, finalmente, nell’adozione consapevole della tecnologia. Oggi accade la stessa cosa con ChatGPT, ma, in genere, per tutto ciò che attiene all’intelligenza artificiale generativa.
Come sottolinea lo stesso Castelli, è chiaro che negli ultimi decenni il contributo delle tecnologie digitali al cambiamento del modo di fare impresa, alla relazione con i clienti, fino al comportamento dei singoli e all’impatto sulla società, sia stato enorme. Così come appare evidente che oggi viviamo nell’era post-digitale, ormai pervasa dalle tecnologie digitali che influenzano sempre più le nostre vite e impattano sui prodotti e sul modo di lavorare quanto più si fondono con oggetti e servizi fisici. Vivere, lavorare, produrre, vendere: tutto richiede una diversa consapevolezza; da parte dei singoli, per non cadere nelle trappole delle fake news, delle manipolazioni e della perdita di controllo del nostro pensare, e delle imprese, per non seguire acriticamente le mode, buttando alle ortiche tempo, denaro e opportunità. Nella sua riflessione Castelli ricorda anche che non sempre “digitale è bello”. Sono molti i casi in cui l’adozione inconsapevole di una tecnologia digitale produce anche dei danni. Nel mondo post-digitale occorre quindi dotarsi di nuove capacità di valutazione e, nel caso delle aziende, anche di nuovi strumenti di valutazione, oltre al rispetto di un insieme di regole fondamentali. L’esperienza, unita allo studio di un gran numero di casi, indica i pochi elementi cruciali su cui porre l’attenzione. Il primo è che i fondamentali economici continuano a valere anche nel mondo post-digitale e quindi va posta la giusta attenzione tra aspettative e risultati, ignorando l’effetto moda: non è raro imbattersi in casi in cui si adotta una tecnologia senza aver ben chiaro quali problemi possa risolvere o quali opportunità possa creare; né tanto meno ci si interroga seriamente sul ritorno dell’investimento e sui costi operativi. Il secondo è riconoscere il valore delle tecnologie senza banalizzazioni: le tecnologie non sono mai banali, può invece esserne l’uso che se ne fa senza conoscerle a fondo.
Si moltiplicano senza sosta pareri e studi dedicati all’intelligenza artificiale, spesso caratterizzati nel cercare un equilibrio fra straordinarie opportunità che la digitalizzazione più avanzata può riservare e criticità verso determinati eccessi. Ne sono due significativi esempi gli articoli pubblicati su il Corriere della Sera (27 febbraio) e La Repubblica (1° marzo), rispettivamente a firma di Massimo Sideri e Mariarosaria Taddeo. Scrive Sideri: Quando un libro è costato due anni di faticose ricerche lo si capisce immediatamente perché non asseconda tesi diffuse e consolidate, ma anzi ha il coraggio di metterle in discussione, smontandole con un esercizio certosino di documentazioni e argomentazioni. Il saggio “Profeti, oligarchi e spie. Democrazia e società nell’era del capitalismo digitale” di Franco Bernabè e Massimo Gaggi (Feltrinelli) parte da qui: quante volte in un abusato esercizio delle metafore ci siamo sentiti dire che la tecnologia dell’informazione e la rete internet sono paragonabili all’elettricità e al motore a vapore, le due grandi rivoluzioni sociali e tecnologiche alla base dell’economia moderna? La società dell’informazione — di cui l’intelligenza artificiale con ChatGPT è solo l’ultima espressione — è diventata così per tutti sinonimo di progresso. Bernabè e Gaggi, in un libro ben informato e dunque preoccupante, ci portano a mettere in discussione questo rassicurante dogma contemporaneo…
Il libro indica fra i rischi della digitalizzazione esasperata, priva di etica della “sostenibilità”, il fatto che la digitalizzazione potrebbe sfaldare silenziosamente i capisaldi su cui si basa l’esistenza del cosiddetto “ceto medio”. Come si sottolinea nell’articolo nella rivoluzione tecnologica viene a mancare quella ricaduta sociale che il vapore e l’elettricità hanno avuto, alimentando nuove industrie e nuove ricerche scientifiche, laddove il digitale tende a cannibalizzare tutto e non tollera resistenze alla propria forza gravitazionale. Sempre nel libro si cita come Evan Williams, uno dei padri di Twitter, confessò così nel 2017 al «New York Times» la fine del mito fondativo: «Credevo che dare più libertà alla gente di scambiare idee e informazioni in rete bastasse di per sé a creare un mondo migliore. Sbagliavo…” L’era della digitalizzazione è a suo modo una rivoluzione, ma non sociale. A questa deformazione ha contribuito purtroppo la crisi dell’editoria e della stampa.
Sulla stessa linea analitica è l’articolo di Mariateresa Taddeo, che punta a ribadire la necessità di una governance pluralistica dedicata allo sviluppo dell’intelligenza artificiale: L’arrivo di nuove tecnologie digitali porta spesso con sé delle distrazioni. Nei primi anni 2000 quando iniziava il Web2.0, ci domandavamo se fosse possibile che amicizia e fiducia esistessero online. Nel frattempo, trascuravamo questioni relative alla protezione dei dati e all’autonomia degli utenti. Diciotto anni dopo abbiamo pagato cara la distrazione, quando con Cambridge Analytica abbiamo capito che con il social network si potevano manipolare le opinioni delle persone fino ad alterare i meccanismi di voto.
Massimiliano Capitanio, commissario Agcom, indica come positiva la consultazione avviata dalla Commissione Ue per valutare il contributo delle digital company alla realizzazione delle infrastrutture. La considerazione nasce commentando uno studio condotto della società Boston Consulting Group dal quale si evidenzia la necessità di un’urgenza trasformativa: separare le reti dai servizi migliorerebbe la condizione finanziaria degli operatori e aumenterebbe l’interesse degli investitori. Secondo Capitanio bisognerebbe passare da Telco a TechCo, per guidare ecosistemi e applicazioni digitali per il B2B e il B2C innovativi. Dedica attenzione al tema Cor.Com – Il Corriere delle Telecomunicazioni, con un articolo a firma di Dominico Aliperto pubblicato lo scorso 2 marzo: “Saranno i dati e la consultazione europea a dire se e quanto gli Over The Top debbano contribuire allo sviluppo della rete ad alta velocità, oggi più che mai la vera autostrada del futuro. Quello che è evidente è che il dibattito non sia più rimandabile e bene ha fatto l’Europa ad aprire l’analisi sullo stato effettivo del mercato, dato che i diversi Paesi membri hanno posizioni al momento piuttosto discordanti”. A parlare è Massimiliano Capitanio, commissario Agcom, che domani 3 marzo prenderà parte all’evento “Le telecomunicazioni nella trasformazione digitale”, promosso dal Chapter italiano dell’International Institute of Communications (Iic). All’evento prenderanno parte anche Roberto Viola, direttore generale della Dg Connect presso la Commissione Europea, e i top manager delle telco attive sul mercato tricolore.
Come ricordato anche nell’articolo, Capitanio ha inoltre sottolineato come in Italia i ricavi delle Telco sono crollati del 10% rispetto al 2017: da 31,8 miliardi di euro ai 28,6 miliardi di euro nel 2021, con una conseguente forte perdita di posti di lavoro pari a 7.200 unità su 66.400 nel quinquennio 2017-2021. La situazione richiama tutti i soggetti coinvolti ad azioni di consapevole responsabilità, a partire proprio da Agcom. Questa prospettiva è condivisa anche da Boston Consulting Group (Bcg), che nel suo studio ha analizzato il contesto attuale del settore e le tendenze che lo ridisegneranno nei prossimi anni. Sempre nell’articolo si precisa come le scelte caratterizzanti che hanno permesso ad alcune realtà di crescere nonostante i problemi sul tappeto: operazioni agili e digitalizzate; efficientamento dei costi; un portafoglio coerente di prodotti e servizi che include applicazioni 5G B2B e B2C; un forte supporto ai clienti e una proposta di prodotti e servizi a prezzi competitivi; infine, investimenti sulla rete 5G, sul fixed wireless (la tecnologia che utilizza un sistema ibrido di collegamenti via cavo e senza filo per offrire servizi di connettività in banda larga e ultralarga), sulla fibra ottica e sugli aggiornamenti necessari per l’innovazione infrastrutturale.
Uno specifico accordo è stato recentemente siglato fra la società Leonardo, Rete Mille Infrastrutture e l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani per favorire il monitoraggio, con strumenti tecnologici high tech, dello stato del territorio e delle infrastrutture (come ponti, viadotti, cavalcavia gallerie e opere d’arte). L’accordo coinvolge oltre 7.000 Comuni italiani. Obiettivo primario: favorire, spiegano gli estensori del testo, un dialogo continuo e strutturato che permetta ai Comuni di incrementare la conoscenza delle potenzialità applicative dei sistemi di monitoraggio per le infrastrutture viarie, per l’ambiente e per i beni culturali. Dedica attenzione al tema il quotidiano Il Sole 24 Ore con un articolo a firma di Raul De Forcade pubblicato lo scorso 2 marzo: Nel protocollo siglato con Anci, sono esplicitate le azioni congiunte che Comuni, Rete e Leonardo potranno attuare in maniera sinergica. Ed ecco le tappe che rappresentano la road map dell’intesa: «identificare i gap tecnologici, condividere le soluzioni sistemistiche, omogeneizzando le progettualità dei diversi Comuni, e definire un piano temporale degli interventi, che risponda a requisiti di breve, medio e lungo termine». Il protocollo prevede, in effetti, un «coordinamento tra le parti coinvolte, finalizzato a identificare e sperimentare, nell’ambito della collaborazione, soluzioni tecniche innovative a supporto delle attività di classificazione, monitoraggio e gestione del rischio delle infrastrutture e delle opere infrastrutturali, favorendo una consapevole attenzione e migliore competenza di Anci e, per suo tramite, degli enti» interessati.
Come sottolineato nell’articolo, Leonardo fornirà a Rete Mille Infrastrutture la piattaforma X-2030: una soluzione high tech per l’analisi e la correlazione delle informazioni, in grado di gestire dati satellitari e multisensoriali, oltre ad applicare l’intelligenza artificiale per supportare i processi decisionali, proprio per la gestione di ponti, viadotti, cavalcavia e gallerie. Sempre nell’articolo si ricorda come Le immagini satellitari, poi, «unite alla sensoristica sul campo e alle immagini acquisite da droni – affermano i tecnici – permettono di virtualizzare le infrastrutture da monitorare e di creare dei gemelli digitali per la loro analisi strutturale e comportamentale, attraverso modelli fisico-matematici; in questo modo è possibile rendere “intelligenti” le infrastrutture e introdurre un elevato livello di predittività nella loro gestione, a partire dalle manutenzioni».
Sono 12, una per ogni mese dell’anno, le sfide Esg, che il Gruppo Iren ha identificato come prioritarie per il 2023. Presentate nel dicembre scorso, sono ora diventate i riferimenti che guidano l’operatività del Gruppo, che ha scelto di concentrarsi sulle sfide su cui si ritiene possibile incidere, con un cambio di passo, in un orizzonte temporale di breve periodo. Dedica attenzione alle strategie del Gruppo il quotidiano Il Sole 24 Ore con un articolo a firma di Vittorio Carlini pubblicato lo scorso 5 marzo: La società, nel piano d’impresa 2021-2030, ha indicato che dei previsti 12,7 miliardi di investimenti lordi cumulati, circa 4,9 miliardi sono indirizzati sulle reti (Elettricità, Gas, Idrico e Teleriscaldamento). Si tratta di un impegno che, se ovviamente non stupisce in un comparto quale quello delle multi-utility, va comunque sottolineato. Il network è un’attività regolata o semi regolata la quale, unitamente a gran parte del settore ambiente, rappresenta un business che (ad esempio attraverso gli adeguamenti sul costo medio del capitale investito) fa da scudo (seppure non totale e alle volte con lo sfasamento nel tempo) sia contro l’inflazione che al rialzo dei tassi d’interesse. Il che, nell’attuale contesto, non è irrilevante.
Come ricordato nell’articolo, la business unit Energia di Iren prevede circa 2,5 miliardi d’investimenti lordi. Seicento milioni tra il 2021 e il 2024. Nel 2026 l’Ebitda stimato è intorno ai 230 milioni. Alla fine dei primi nove mesi del 2022 è la divisione che ha dato il maggiore contributo incrementale (+86 milioni) al Mol di gruppo. Così nell’articolo: A ben vedere, in questo settore c’è un altro focus di Iren: quello sulle energie rinnovabili. L’obiettivo, facendo leva anche su fondi esterni, è di aggiungere (rispetto al 2020) tra eolico e fotovoltaico 500 Mega Watt al 2026 per, poi, arrivare all’incremento di 2,2 Giga Watt nel 2030. La sfida è importante e guarda, seppure si proceda anche nell’eolico off-shore, soprattutto al fotovoltaico. Proprio nel Febbraio del 2022 la multi-utility ha perfezionato l’acquisto, da European Energy, di impianti solari per circa 120 MW.
Insomma, grande attenzione è posta alla sostenibilità ambientale: oltre la metà degli investimenti complessivi previsti è infatti indirizzato al raggiungimento degli obiettivi presi nei confronti degli SDG delle Nazioni Unite e il maggior impegno è rivolto all’economia circolare e all’impiego delle risorse idriche. Del resto l’aveva già anticipato l’AD Massimiliano Bianco in fase di presentazione: “Con il Piano al 2023 il Gruppo conferma l’impianto multiservizio e si prepara a cogliere ulteriori opportunità di sviluppo investendo nelle persone, acquisendo nuove competenze e accelerando sulla digitalizzazione”. Proprio le persone e la digitalizzazione saranno i fattori abilitanti lo sviluppo del Gruppo che prevede il mantenimento, e se possibile il miglioramento, dell’investment grade (Fitch BBB) e un incremento della dividend policy.
A2A ha chiuso l’esercizio 2022 con un margine operativo lordo preliminare in crescita del 7% a 1,5 miliardi di euro, una posizione finanziaria netta a 4,26 miliardi e una capacità rinnovabile installata in crescita del 12% a 2,5 GW. L’energia verde venduta è stata pari a 6,6 TWh, il 32% in più rispetto al 2021. È proseguita poi la crescita della finanza sostenibile, con una quota di debito sostenibile pari al 58% sul totale del debito lordo di gruppo, contro il 44% del 2021. Questi risultati permettono al gruppo di accelerare sulla transizione energetica, sulle rinnovabili e sull’economia circolare. Lo ha sottolineato anche l’amministratore delegato Renato Mazzoncini: “Il 2023 – ha spiegato – ci vedrà ancora impegnati nell’attuazione degli obiettivi individuati nel nostro piano industriale, attraverso la realizzazione di infrastrutture strategiche per lo sviluppo delle rinnovabili, del recupero di materia e nel potenziamento delle reti”. Dedica attenzione alle dinamiche espansive di A2A il quotidiano La Stampa con un articolo pubblicato lo scorso 23 febbraio: Il Gruppo, nonostante le tensioni geopolitiche e le forti turbolenze che hanno caratterizzato i mercati energetici nell’anno in esame, ha conseguito una marginalità in crescita grazie alla diversificazione delle proprie attività: i risultati positivi della Business Unit Generazione & Trading e della Business Unit Ambiente hanno più che compensato la contrazione di marginalità registrata negli altri settori di attività.
Come ricordato nell’articolo, modello di business di A2A, basato sulla diversificazione delle attività, ha garantito la stabilità necessaria ad affrontare le turbolenze dei mercati, senza far venir meno il sostegno e la vicinanza ai clienti. Nel 2022 A2A ha proseguito nel suo percorso di sviluppo industriale, in linea con la strategia di lungo periodo focalizzata su transizione energetica ed economia circolare, incrementando ulteriormente gli investimenti e portando a compimento importanti operazioni di crescita per linee esterne. Gli Investimenti organici si sono attestati a 1,24 miliardi di euro, in incremento del 15% rispetto al 2021.
Lo scorso 24 febbraio il Consiglio dei ministri ha dato il via libera alla nascita di un nuovo “codice degli incentivi” al fine di bloccare l’estrema frammentazione delle attuali politiche di incentivazione e raggiungere la piena efficienza degli interventi per le imprese. “Il provvedimento – ha commentato il ministro Urso, titolare del dicastero delle Imprese e del Made in Italy – nasce dalla necessità di avere una riforma organica per fermare la giungla degli incentivi. L’obiettivo è semplificare e omogenizzare. Le sfide globali di oggi – continua il Ministro – hanno bisogno di risposte mirate e coerenti con un sistema degli incentivi compiuto e coordinato che possa rappresentare un corpus organico di regole che sia di riferimento tanto per i decisori pubblici che per le imprese”.
Secondo il governo, la revisione degli incentivi costituisce infatti un passaggio necessario anche per la promozione della politica industriale italiana che richiede sul piano nazionale un maggiore efficientamento degli interventi per le imprese nonché di orientamento verso le sfide globali come la transizione green e digitale. Da ricordare come nell’ultimo anno di rilevazione (il 2021), il sistema agevolativo nazionale ha fatto registrare un numero complessivo di 1.982 interventi agevolativi, di cui n. 229 delle amministrazioni centrali e n. 1.753 delle amministrazioni regionali.
Dedica attenzione al tema Cor.Com – Il Corriere delle telecomunicazioni con un articolo pubblicato lo stesso 24 febbraio: Il provvedimento nasce come strumento per aiutare le imprese a orientarsi tra le circa 2mila agevolazioni a disposizione delle imprese, con un duplice obiettivo: da una parte la “razionalizzazione dell’offerta di incentivi”, che avverrà con l’individuazione di un insieme limitato e definito di modelli per concedere le agevolazioni, e dall’altra la “codificazione” delle procedure. Si tratterà in questo caso di predisporre un insieme di regole per le incentivazioni alle imprese, che saranno contenute in un unico testo, il “codice degli incentivi”. Le nuove norme punteranno anche alla semplificazione delle procedure per la richiesta e la concessione delle agevolazioni, puntando al coordinamento di strumenti già in campo come il Registro Nazionale degli Aiuti di Stato e la piattaforma online “Incentivi.gov.it”. dopo questo passaggio il Ministero avrà ora 24 mesi di tempo per adottare i decreti delegati.
Come ricordato nell’articolo, il disegno di legge introduce alcuni principi guida per gli interventi di incentivazione, a partire dal fatto che ogni amministrazione sarà chiamata a una “programmazione degli interventi e indicazione della loro estensione temporale, anche pluriennale, in modo da assicurare un sostegno tendenzialmente continuativo e adeguato alle finalità stabilite”. Prosegue l’articolo: Il secondo principio è quello della misurabilità dell’impatto “nell’ambito economico oggetto degli incentivi, sulla base della valutazione in itinere ed ex post degli effetti ottenuti”. Poi il rafforzamento della coesione sociale, economica e territoriale “per uno sviluppo economico armonico ed equilibrato della Nazione, con particolare riferimento alle politiche d’incentivazione della base produttiva del Mezzogiorno”. Attenzione puntata anche sulla “valorizzazione del contributo delle donne alla crescita economica e sociale della Nazione”.
Il consiglio di amministrazione di Tim si è riunito lo scorso 24 febbraio, sotto la presidenza di Salvatore Rossi per esaminare l’offerta non vincolante presentata da Kkr in data 1° febbraio 2023 per l’acquisto di una partecipazione in una costituenda società cui farebbe sostanzialmente capo il perimetro gestionale e infrastrutturale della rete fissa, inclusi gli asset e le attività di FiberCop, nonché la partecipazione in Sparkle. Tim è impegnata da tempo a perseguire gli obiettivi strategici definiti in occasione del Consiglio di amministrazione del 6 luglio 2022 ed enunciati in occasione del Capital Market Day del 7 luglio 2022, che hanno la rete fissa come uno degli elementi strategici di evoluzione futura. Un nuovo tassello, presumibilmente molto importante, in questo scenario è arrivato proprio con la valutazione di Tim dell’offerta del fondo statunitense. Dedicano attenzione alla notizia tutti i principali organi di stampa, fra cui il Corriere della Sera, con un articolo a firma di Federico De Rosa, pubblicato lo scorso 25 febbraio. Nell’articolo si citano direttamente le significative dichiarazioni di Tim, fra cui il fatto che il Cda ha molto apprezzato l’interesse espresso, ma con riserva. Così esattamente la dichiarazione riportata nell’articolo e riferita alla proposta economica ricevuta: …la stessa non riflette pienamente il valore dell’asset e le aspettative di Tim, anche in termini di sostenibilità della società risultante dall’operazione ivi contemplata. Pertanto, per favorire l’allineamento delle condizioni dell’operazione proposta rispetto al quadro strategico rilevante per Tim, il consiglio ha deliberato di mettere a disposizione di Kkr – non in esclusiva – alcuni specifici elementi informativi e di richiedere le ulteriori indicazioni necessarie per comprendere a pieno gli assunti e gli economics della proposta.
Da parte di Kkr è stata repentinamente fatta pervenire agli organi di stampa una risposta, “Accogliamo con favore il comunicato del Consiglio di Amministrazione di Tim in relazione alla nostra offerta non vincolante presentata il 1° febbraio 2023 per l’acquisto di una partecipazione nella società denominata “Netco” e siamo pronti a dialogare con il board per cooperare nel rispetto degli obiettivi strategici di Tim”. Lo dichiara un portavoce del Fondo Kkr.
Di fatto il consiglio presieduto da Salvatore Rossi e guidato da Pietro Labriola ha voluto prendere tempo ma non rifiutare l’offerta, (probabilmente anche in attesa di segnali da Palazzo Chigi). La comunicazione è esplicita: una richiesta a Kkr di migliorare la sua offerta. Sotto il profilo economico, naturalmente. Appare evidente come la scelta sia stata di procedere con prudenza nei confronti del fondo Usa, al quale però viene concessa la possibilità di accedere ad alcuni “elementi informativi” sulla situazione di Telecom in cambio di ulteriori indicazioni per comprendere meglio la parte economica della proposta. L’avvio formale di una trattativa tra Telecom e Kkr non esclude che si possa arrivare ad una soluzione allargata a un ruolo dello stato-Cdp nella gestione dell’asset rete fermo restando i vincoli europei e di Antitrust. In ogni caso, come è stato sottolineato da più parti, qualcosa si è mosso e per il dossier Telecom è l’inizio di una nuova fase.
In base ai dati presenti nella quarta edizione del rapporto “Le infrastrutture di ricarica a uso pubblico in Italia”, le colonnine per le auto elettriche in Italia crescono a un ritmo sostenuto. Nel 2022 sono stati installati 10.748 nuovi punti di ricarica. Si tratta del miglior risultato mai registrato nella Penisola, che può contare così al 31 dicembre 2022 su una rete di 36.772 punti di ricarica, più densa in rapporto al parco elettrico circolante rispetto a molti Paesi considerati tra i più avanzati sulla e-mobility. Rivolge attenzione all’argomento il quotidiano Il Sole 24 Ore con un articolo a firma di Simonluca Pini, pubblicato lo scorso 26 febbraio: Entrando nel dettaglio dei punti di ricarica presenti in Italia, grazie ai dati forniti da Motus-E con la quarta edizione del report “Le infrastrutture di ricarica a uso pubblico in Italia”, si è arrivati a quota 36.772 unità con l’installazione nel 2022 di ben 10.748 nuovi punti. In termini percentuali, nel 2022 i punti di ricarica installati sul territorio nazionale sono aumentati del 41%, dopo il +36% messo a segno nel 2021. Percentuali ancora maggiori se si torna indietro di due anni, quando a dicembre 2020 il contatore dei punti di ricarica si fermava a 16.704. Tornando all’attualità, oltre al numero delle installazioni è aumentata la disponibilità di infrastrutture ad alta potenza sul totale. In aggiunta al raddoppio della quota dei punti in corrente continua DC, passati dal 6% del 2021 al 12% del 2022, è triplicata quella dei punti ultraveloci con potenza oltre i 150 kW, passata dall’1% del 2021 al 3,1% del 2022 grazie alle 1.136 prese HPC.
Come sottolineato nell’articolo de Il Sole 24 Ore, aumentano anche per i punti di ricarica in autostrada: il 31 dicembre 2022 avevano raggiunto quota 496 (di cui l’85% in DC con potenza oltre i 43 kW) dai 118 di fine 2021. Sempre nell’articolo si fa notare però che si tratta di un incremento fortemente limitato dalla mancata pubblicazione dei bandi previsti per legge per consentire agli operatori l’installazione massiva delle colonnine sulla grande viabilità. Con 5.971 punti di ricarica, e il 16% del totale nazionale, la Lombardia si conferma la regione migliore dove utilizzare un’auto elettrica. Seguono in ordine Piemonte e Veneto (con l’11% del totale ciascuna), Lazio ed Emilia-Romagna (con il 10% a testa) e infine la Toscana (8%). Queste Regioni coprono complessivamente il 66% del totale dei punti di ricarica a uso pubblico in Italia.
Concludendo il suo articolo Pini ricorda: Facendo invece un confronto con i principali paesi europei, ogni 100 veicoli elettrici circolanti in Italia si contano 21,5 punti di ricarica a uso pubblico, a fronte degli 11,5 della Francia, degli 8,2 della Germania e degli 8,9 del Regno Unito. Sempre l’articolista commenta: Certamente il numero di punti di ricarica dovrà continuare a crescere per diventare una vera alternativa ai distributori di benzina, ma molto probabilmente le vendite delle vetture a zero emissioni non decollano a causa dei maggiori costi di acquisto e di una maggiore complessità d’utilizzo rispetto alle rivali termiche.