È la digitalizzazione delle imprese l’elemento che ha consentito al manifatturiero italiano di non cedere alle problematiche imposte dalla pandemia e ripartire di slancio. In diversi settori industriali la produzione è ritornata a livelli pre-Covid. Quanto è avvenuto dalla primavera 2020 è stata l’occasione per decidere nuovi investimenti 4.0 e sviluppare così maggiore competitività delle proprie filiere. Pone attenzione al tema Il Sole 24 Ore in un articolo a firma Ilaria Visentini, pubblicato lo scorso 6 ottobre: C’è un’ombra però sull’ottimismo emerso dai relatori della tavola rotonda su “Manufacturing: focus sui tre pilastri dell’innovazione digitale, economia circolare e sostenibilità”, che ha chiuso la seconda giornata del Made in Italy summit 2021, ed è il rischio che «lo shortage e i rincari di materie prime e componentistica compromettano la nostra capacità di trasformare il boom di ordini in fatturato e quindi la fiammata ora in atto in una ripresa duratura; serve un intervento più coeso e forte da parte dell’Ue su questo tema», afferma Maurizio Marchesini, vicepresidente di Confindustria con delega alle Filiere e alle Medie imprese. (…) Gli investimenti messi in cascina in sistemi 4.0 siano stati l’acceleratore della ripartenza anche durante la pandemia, rivelatasi «un’occasione per mettere alla prova tecnologie che avevamo già in casa, ma non sfruttavamo, con i nostri tecnici che hanno collaudato da remoto anche gli impianti a San Pietroburgo per produrre il vaccino Sputnik», racconta il presidente del gruppo di macchine packaging Marchesini.

Sempre nel suo articolo Ilaria Visentini sottolinea come un ulteriore impulso dovrebbe arrivare ora da Simest (società del Gruppo Depositi e Prestiti per la finanza agevolata): che debutterà il prossimo 28 ottobre con i nuovi strumenti di finanza agevolata sul Fondo 394 che metterà a disposizione delle PMI tricolori una prima tranche di risorse del PNRR da 1,2 miliardi di euro per spingere investimenti digitali, spiega Mauro Alfonso, Ad di Simest: fino a 300mila euro a impresa per la transizione digitale ed ecologia; altrettanto per lo sviluppo di una piattaforma aziendale di e-commerce (200mila euro per l’accesso a un marketplace di terzi); fino a 150mila euro per la partecipazione a fiere ed eventi marketing anche virtuali. «Le imprese italiane hanno fatto bene i compiti a casa e utilizzato bene moratorie e finanziamenti durante la pandemia – rimarca Marco Mandelli, head of Corporate & investment banking di Bper – perché oggi hanno un basso profilo di rischio, abbondante liquidità e risorse proprie per affrontare nuovi investimenti, operazioni di M&A e passaggi generazionali».

Circa il 95% della popolazione italiana è già raggiunta dal 5G: questo il dato che spicca nella relazione sul tema presentata durante l’annuale Digital Summit di EY. Uno scenario apparentemente sorprendente, che infatti ha suscitato la volontà di approfondire. Lo fa Mila Fiordalisi in un suo editoriale su Cor.Com – Il Corriere delle Comunicazioni, di cui è direttrice, pubblicato lo scorso 7 ottobre: Le gare per la core network – la parte centrale della rete di quinta generazione – devono ancora essere aggiudicate. E dunque siamo ancora nella fase embrionale. Il 5G che oggi raggiunge il 95% della popolazione italiana è una versione “light” frutto da un lato del potenziamento delle attuali reti 4G e dall’altro dell’uso delle cosiddette frequenze midband, quelle “preziosissime” della banda 3,5 Ghz (sono state pagate a caro prezzo ai tempi della gara lacrime e sangue). In quest’ultimo caso il roll out delle reti, ad esempio da parte di Tim e Vodafone è partito dalle grandi città per poi andare a scendere in quelle di medie dimensioni e a macchia di leopardo in varie aree del territorio nazionale. L’altra via, quella del cosiddetto Dynamic spectrum sharing (Dds), riguarda invece l’upgrade delle attuali reti a 4G che integrano in parte la tecnologia 5G e per questa ragione consentono di aumentare le performance, come nel caso della Top quality network di WindTre. In dettaglio il Dds, o condivisione dinamica dello spettro, permette a una telco di usare lo spettro di frequenze del 4G e di farlo funzionare anche per il 5G attraverso la modulazione e la rimodulazione in tempo reale delle connessioni 5G e 4G in base alle esigenze specifiche

Sempre nel suo articolo Mila Fiordalisi sottolinea come ciò significa aumentare ma non garantire i livelli che saranno possibili con il 5G standalone, l’unico in grado di mettere in moto un’evoluzione epocale. Ricorda inoltre come è sulla bassissima latenza, quella da “real time” che si gioca la vera partita in termini di applicazioni e servizi che possono garantire una svolta. E aggiunge: E per le reti standalone c’è ancora tempo. Gli operatori di TLC ci stanno lavorando ma prima di un anno sarà difficile parlare di un giro di boa. Per toccare con mano i benefici del 5G applicato all’industria, ai trasporti e alla sanità – per citare i settori che più di altri necessitano di una latenza in grado di abilitare servizi quali la robotica, la guida assistita, la comunicazione vehicle-to-vehicle e gli interventi chirurgici a distanza – la strada dunque è ancora lunga. Per ora bisogna accontentarsi di un po’ di velocità in più e di una migliorata latenza: non poco ma non abbastanza almeno per quel che riguarda la partita business. Per i consumatori invece le offerte cominciano a farsi accattivanti considerato l’uso crescente dei video su smartphone e tablet sull’onda del boom dello streaming legato all’entertainment – dal videogaming alle serie tv fino al calcio. Anche se a fare la differenza a livello domestico è la fibra: senza connessioni ad alta capacità diventa pressocché impossibile garantirsi una qualità del servizio di connettività in grado di gestire enormi moli di dati.

Il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, ha annunciato un tris di interventi da realizzare da qui a metà 2022, favoriti anche dalle risorse del PNRR, finalizzati a incentivare una maggiore sinergia tra ciò che si studia negli istituti tecnici e professionali e le concrete necessità delle aziende, che corrono velocemente verso trasformazioni 4.0. Rivolge attenzione al tema Il Sole 24 Ore, in un articolo pubblicato lo scorso 8 ottobre: In Italia, l’intera filiera dell’istruzione e formazione tecnico-professionale, nonostante riforme e programmi di studio all’avanguardia, sconta carenze strutturali, un legame non sempre strutturale con aziende e territori, e un’ingenerosa etichetta di formazione di serie B. Bianchi pensa a un intervento ordinamentale da predisporre entro il primo semestre del prossimo anno, e con l’obiettivo di allineare i curricula degli istituti tecnici e professionali alle competenze richieste dalle imprese. La riforma, è scritto nel PNRR, interesserà 4.324 istituti tecnici e professionali, oltre che il sistema di istruzione formazione professionale.

Un secondo focus di attenzione dell’intervento del Ministro dell’Istruzione riguarda gli ITS. Così nell’articolo: La seconda riforma citata riguarda gli ITS, gli Istituti Tecnici Superiori, che rappresentano a oggi in Italia il canale di formazione terziaria subito professionalizzante alternativa all’università. Gli ITS, negli anni, si sono dimostrati (monitoraggio Istruzione-Indire) veri e propri passepartout per il lavoro, con un tasso medio di occupazione a un anno dal titolo dell’80% (con punte del 90-100% in molti territori). In Parlamento c’è già un testo di riforma degli ITS, approvato lo scorso luglio alla Camera. Adesso è incardinato al Senato e l’obiettivo è di approvarlo definitivamente entro dicembre. Il PNRR destina agli ITS 1,5 miliardi nei prossimi cinque anni, con l’intento di aumentare iscritti e corsi.

Il terzo percorso di riforma indicato dal Ministro Bianchi è quella dell’orientamento, come si ricorda anche nell’articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore; l’idea, descritta nel PNRR, è quella di introdurre moduli di orientamento – circa 30 ore annue – nelle scuole media e superiori per incentivare l’innalzamento dei livelli di istruzione, anche con la realizzazione di una piattaforma digitale di orientamento, relativa all’offerta formativa terziaria di atenei e ITS. Del resto i ritardi italiani sono sotto gli occhi di tutti. Circa un terzo delle imprese dichiara di non trovare profili giusti da assumere (un’assunzione su due è considerata difficile nelle discipline Stem); c’è stato un calo generalizzato degli apprendimenti (Invalsi); la percentuale di Neet è salita dal 24,4% del 2019 al 25,5% del 2020; e abbiamo un tasso di disoccupazione giovanile che sfiora il 30% (peggio di noi solo Spagna e Grecia).

La macchina dello Stato comincia a mettere in moto il piano organizzativo destinato a distribuire i fondi che arriveranno all’interno del PNRR. Una sfida non facile e che già fa discutere. Ne parla il quotidiano La Repubblica in un articolo a firma Valentina Conte e Conchita Sannino pubblicato lo scorso 8 ottobre, sottolineando come si sta prospettando un confronto serrato fra le Regioni: …ora che arrivano i primi bandi – infrastrutture e asili nido – alcune Regioni del Sud rifanno i conti. E scoprono che quel 40% viene calcolato non sul totale delle risorse messe a disposizione dall’Europa all’Italia. Ma solo su una parte di queste, ovvero su 206 miliardi “ripartibili secondo il criterio del territorio” anziché 222 miliardi, frutto della somma tra PNRR – Piano nazionale di ripresa e resilienza – e piano complementare che segue le stesse regole del PNRR anche se si tratta di fondi nazionali. Al Sud dunque andranno 82 anziché 89 miliardi: meno del 40%. Sette miliardi che creano malumore.

La stessa articolazione delle componenti che caratterizzano la distribuzione dei i fondi è motivo di acceso dibattito, come puntualizzato ancora nell’articolo: A scavare poi nelle 6 missioni che compongono il PNRR, si scopre che solo 2 missioni rispettano il criterio del 40%, anzi lo superano: Infrastrutture (53%) e Istruzione (46%). Una sola missione – Lavoro e Inclusione sociale – sfiora l’obiettivo, con il 39%. Le altre tre – Rivoluzione digitale, Verde e Salute – sono al di sotto. La media delle sei missioni fa però 40%. La questione è emersa anche ieri a margine dell’informativa del MIMS – il Ministero delle Infrastrutture e mobilità sostenibili – sul decreto che destina 2,8 miliardi del Recovery a 159 progetti di rigenerazione urbana ed edilizia: il 40% va al Sud, ma nella missione Infrastrutture la percentuale dovrebbe essere del 53%. In ogni caso si potrà compensare e solo alla fine i conti torneranno. Anche se, ragionevolmente, c’è chi ne dubita.

In ogni caso, come ricordato ancora nell’articolo, sarà un’impresa ardua realizzare le opere previste, se non si opera una sburocratizzazione radicale nelle procedure: … il confronto, teso, non si gioca solo sul volume di quel denaro. Ma anche sull’esercito di tecnici e figure della pubblica amministrazione di cui troppi Comuni del Sud hanno un disperato bisogno per entrare realmente in partita sui progetti del PNRR. Un esempio su tutti: Gaetano Manfredi, sindaco (non ancora proclamato) di Napoli, ha già lasciato intendere che occorrerà più personale per l’esecuzione dei progetti. Sembra che su Napoli ne siano previsti poche decine. “Un numero totalmente insufficiente”, ha fatto sapere l’ingegnere. Ancor prima di indossare la fascia tricolore. “Perché non possiamo perdere tempo”.

© 2021 Valtellina S.p.A.
Via Buonarroti, 34 – 24020 Gorle (BG) – Italy
valtellina@valtellina.com


C.F. e P.IVA 00222840167 – Cap. Soc. € 18.000.000 i.v.
Reg. Imp. BG n° 00222840167 | R.E.A. n° 39405
Direzione e coordinamento di Finval SpA
  • Privacy
  • Cookie Policy
  • Credits

Rimani aggiornato sul mondo Valtellina

Lascia il tuo indirizzo email per ricevere comunicazioni e aggiornamenti dal mondo Valtellina. Compila il modulo e controlla la tua inbox per confermare l’iscrizione.