Il settore mondiale delle telecomunicazioni ha resistito al contesto geopolitico in peggioramento, registrando un giro d’affari aggregato in crescita del 3,6% annuo nel primo semestre del 2022, ma l’Europa rimane ferma con un modesto +0,5% e l’Italia è in trend negativo (-3,7%), con Tim che occupa ora la 19esima posizione tra le 30 maggiori società di Tlc. È quanto emerge dal report che Mediobanca dedica al settore. Rivolge attenzione all’argomento il Quotidiano Nazionale, con un articolo pubblicato lo scorso 27 ottobre: A livello complessivo, fra un anno e l’altro i principali operatori italiani hanno visto una riduzione dei ricavi per circa 600 milioni di euro (ora a quota 12 miliardi), di cui 173 solo nel mobile (con Tim, Vodafone e Wind Tre che hanno lasciato sul terreno 258 milioni nel primo semestre 2022 rispetto ai primi sei mesi del 2021). Anche sul fronte della redditività le notizie non sono positive. Si allarga infatti la distanza rispetto agli altri big mondiali del settore. Dal confronto tra i conti aggregati dei principali operatori italiani (che rappresentano il 95% del mercato) e quelli delle imprese estere emerge un comparto che arranca. A causa del calo del giro di affari e dell’aumento dei costi, il reddito operativo (quello calcolato prima di imposte e oneri finanziari) è sceso dal 13,5% del 2017 al 3,3% del 2021, contro il 15,9% dei big mondiali, peraltro in crescita rispetto al 14,2% messo a segno nel 2017.

La contrazione del fatturato rimane concentrata nei primi tre operatori: Tim ha visto un -7,5% per la “domestic unit”, Wind Tre un -6,1% e Vodafone -2,5%, con una diminuzione cumulata di 258 milioni. Continua la crescita di Iliad (+15,4% sul primo semestre 2021), in rialzo anche PosteMobile (+3,3%) e Fastweb (+1,5%).

Mentre tornando al contesto globale, spicca come a trainare il settore sono le società cinesi che nel primo semestre hanno registrato una crescita del 10,7%. Nella classifica mondiale per ricavi, le prime due posizioni sono entrambe occupate da gruppi statunitensi (AT&T a 149,1 miliardi e Verizon a 118 miliardi), seguiti da China Mobile (con 117,9 miliardi) che ha scalzato Deutsche Telekom (108,8 miliardi) dall’ultimo gradino del podio. La centralità dei player asiatici, rileva lo studio, è confermata dalla presenza di cinque di essi tra i primi dieci operatori.

Ancora un mese di attesa per decidere sul memorandum siglato da TIM lo scorso maggio con Cdp relativo al progetto di integrazione degli asset con Open Fiber. La deadline passa dal 31 ottobre al 30 novembre a seguito del nuovo accordo siglato con i soggetti referenti dell’operazione: Cassa depositi e prestiti “Equity”, Teemco Bidco (società lussemburghese controllata da uno o più fondi gestiti da Kkr), Macquaire e Open Fiber. Dedica attenzione al tema La Repubblica, con un articolo a firma di Sara Bennewitz pubblicato lo scorso 28 ottobre. In particolare viene sottolineato come l’Europa potrebbe intervenire sulle dinamiche dell’accordo: Da un’indagine informale con lAntitrust Ue è inoltre emerso chiaro che in caso di un matrimonio tra Tim e Open Fiber le due società dovranno cedere a uno o più operatori, le duplicazioni nelle aree nere, ovvero quelle più profittevoli, su 10-20 delle maggiori città italiane. In proposito diversi fonti finanziarie segnalano che Alberto Calacagno di Fastweb si sarebbe già attivato sia con Bruxelles, sia con alcuni partner finanziari, per offrirsi come candidato a creare una seconda rete in fibra, alternativa a quella che nascerebbe dalla fusione tra Tim e Open Fiber.

Nel Cda tenutosi il 29 ottobre, Telecom Italia ha concesso una proroga a Cdp per l’acquisto della sua infrastruttura di rete, ma senza diritto di esclusiva. La soluzione a metà da una parte non chiude la porta a un’offerta della Cassa, dall’altra lascia mani libere a Tim di valutarne altre. Nell’articolo di Sara Bennewitz si sottolinea come …ammesso e non concesso che il nuovo governo voglia procedere sulla strada dell’acquisto della rete Tim da parte di Open Fiber (60% Cdp e 40% Macquarie), resta da sciogliere il nodo delle valutazioni. Per Cdp e Macquarie, con i tassi in aumento, l’operazione richiede più capitale e meno debito, dato che finanziare l’acquisto di Tim è più caro rispetto a qualche mese fa, senza contare che la prospettiva di un rivale come Fastweb sulle aree nere fa scendere anche il costo opportunità dell’operazione.

Sempre nell’articolo viene inoltre ricordato come se Cdp e soci, anche senza esclusiva, sono comunque in vantaggio rispetto agli altri pretendenti, l’unica reale alternativa che ha Tim è quella di cedere una parte della Netco a Kkr, che è già socio al 37,5% della rete secondaria Fibercop e che al giusto prezzo potrebbe essere interessato a investire a monte dell’infrastruttura.

“Smart city, ancora troppi ostacoli. Via ai patti pubblico-privato”, titola così l’articolo pubblicato lo scorso 28 ottobre da Cor.Com – Il Corriere delle comunicazioni, dedicato al fatto di come si avverta la necessità di attivare sistemi di partenariato PA-impresa per incentivare e promuovere la realizzazione di smart city. L’articolo prende spunto da una specifica analisi condotta da I-Com in collaborazione con WindTre e Join Group: L’Italia è sulla strada giusta per realizzare un ecosistema di smart city. Ma nonostante l’avanzamento dei progetti nei grandi Comuni del Nord, le risorse messe a disposizione dal Pnrr e gli obiettivi chiari, rimangono ancora troppi ostacoli in campo. In primis la mancanza di competenze digitali. Emerge dal report firmato da I-Com in collaborazione con Windtre e Join Group secondo cui è l’ora di un sistema di partenariati pubblico-privati in grado di superare i blocchi e assicurare il pieno sviluppo di città intelligenti.

Come ricordato nell’articolo, gli strumenti, dal dialogo competitivo agli appalti pre-commerciali, sono già stati recepiti nell’ordinamento italiano da quasi un decennio, ma sono ancora poco usati. Così nell’articolo: Secondo i dati di Agid – si legge nel report che analizza lo stato dell’arte di 14 città metropolitane italiane e relativi comuni, fra cui Milano, Genova, Firenze e Venezia dal 2013 al 2019 sono state intraprese 80 gare d’appalto innovative, per 470 milioni di euro. Ma si tratta di un numero minimo se paragonato al totale delle gare che si sono svolte nello stesso periodo. Sempre nell’articolo si sottolinea come tra gli aspetti critici evidenziati dallo studio vi è la gestione contabile dei progetti, ad esempio l’adozione di tecnologie innovative per la PA, come il cloud, spesso ricade nella spesa corrente ed è soggetta a vincoli. In quest’ottica, la previsione di uno status speciale per particolari spese in servizi digitali innovativi potrebbe favorire una più ampia adozione da parte degli enti pubblici.

L’articolo si chiude puntualizzando come in ogni caso le basi su cui si fonda la realizzazione di una città intelligente, come ricorda lo stesso report, sono le reti di telecomunicazioni; In questo senso, alcune innovazioni, già contenute nel bando per la digitalizzazione dei Comuni, potrebbero essere integrate utilizzando, pro quota, i fondi rimanenti dai bandi per la copertura del territorio in Banda Ultra Larga allo scopo di favorire l’adozione di soluzioni smart, ad esempio in termini di ottimizzazione della mobilità e del risparmio energetico.

Autobrennero, il concessionario dell’autostrada A22, è pronto a trasformare l’asse tra Modena e Vipiteno (Bolzano) nel primo “green corridor” d’Europa. Il piano d’investimenti è molto significativo; ben 7,2 miliardi, interamente autofinanziati, non appena il ministero delle Infrastrutture avrà sciolto il nodo della concessione. Dedica attenzione al tema il quotidiano Il Sole 24 Ore con articolo a firma di Marco Molino, pubblicato lo scorso 1° novembre: Al momento, la società è in attesa che il ministero comunichi se per la proposta di finanza di progetto, presentata da Autobrennero l’11 maggio 2022 e finalizzata a ottenere il rinnovo della concessione, sussista il requisito della pubblica utilità. La risposta del ministero è attesa entro Natale. Se arriverà il via libera, subito dopo si aprirà la procedura di gara per l’assegnazione della concessione sulla quale Autobrennero, in quanto proponente, avrà il diritto di prelazione. E la grande macchina degli investimenti potrà mettersi in moto. Un volume di risorse che moltiplica per più di tre volte, a valori attuali, quello che fu messo in campo per la costruzione dell’autostrada stessa (anni 60-70).

Il maxi piano intende, prima di tutto, spostare parte del traffico pesante dall’autostrada alla ferrovia, in modo da ridurrà le emissioni e la congestione del traffico. Una scelta, quella di sostenere la rotaia, che può sembrare in concorrenza con la stessa società autostradale. Ma le analisi del macro trend del mercato del trasporto merci di qui al 2035 indficano che la domanda di trasporto su ferro lungo l’asse del Brennero sarà in forte crescita (dall’attuale 30% a circa il 60%.).

La seconda direttrice su cui si muove Autobrennero è quella della transizione ecologica. Così nell’articolo de Il Sole 24 Ore: Già oggi 57 stazioni di ricarica offrono un servizio diffuso e gratuito ai clienti della A22. Nel giro di pochi anni diventeranno 100, offrendo una ricarica sempre più potente e veloce. C’è poi il fronte dell’idrogeno, che pone Autobrennero al vertice dell’innovazione in Italia. Dal 2014, a Bolzano è attivo il primo e ancora unico centro italiano di produzione e distribuzione di idrogeno d’Italia, grazie al quale sono stati già percorsi oltre tre milioni di chilometri emettendo solo vapore acqueo. Un carburante su cui potrà orientarsi a breve l’autotrasporto: il peso notevole richiesto dalle batterie rende quasi proibitivo l’accesso all’elettrico per questo comparto.

Infine spiccano i previsti investimenti in tecnologia digitale: La volontà è quella di trasformare l’arteria da analogica a digitale e creare le basi per una guida cooperativa e autonoma. Che non sia utopia lo mostrano i 300mila chilometri percorsi con il Truck Platooning, ossia i convogli di veicoli industriali che prevedono un solo mezzo, il primo, con un autista al volante.

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