Per Terna nel terzo trimestre investimenti record a 1,033 miliardi e aumento dei ricavi del 4,4% a 661,6 milioni di euro (633,6 milioni nello stesso periodo dell’anno precedente). Secondo una nota dell’azienda, prontamente ripresa da tutti i principali organi di stampa, per aumentare sempre più l’efficienza e l’affidabilità del sistema elettrico nazionale, ha impresso un ulteriore impulso agli investimenti che, per la prima volta nella storia del Gruppo, hanno superato il miliardo di euro nei primi nove mesi. Lo ha dichiarato Stefano Donnarumma, Ad e Gd di Terna. Dedica specifica attenzione al tema Borsa Italiana, che nel suo magazine digitale sottolinea: I primi nove mesi dell’anno, sottolinea Terna, sono stati caratterizzati dalla guerra in Ucraina che ha determinato un sensibile innalzamento dei prezzi delle commodities, tensioni sui prezzi dell’energia e, conseguentemente, un incremento dell’inflazione. In tale complesso scenario, Terna ha incrementato gli investimenti a beneficio della sicurezza energetica del Paese: nel terzo trimestre questi hanno superato i 372 milioni di euro, portando il dato complessivo dei primi nove mesi dell’anno ad oltre un miliardo di euro (1.033,1 milioni di euro).

Come ricordato nell’articolo, la rete sarà inoltre il fattore abilitante della diffusione delle fonti rinnovabili, chiamate a dare un contributo fondamentale alla sicurezza energetica del nostro Paese.  Fra gli altri dati comunicati dal Gruppo, si evidenzia che l’utile netto del periodo si attesta a 586,9 milioni di euro, in crescita di 6,5 milioni di euro rispetto ai 580,4 milioni dei primi nove mesi del 2021 (+1,1%). La situazione patrimoniale consolidata al 30 settembre 2022 registra un patrimonio netto di Gruppo pari a 6.094,9 milioni di euro, a fronte dei 4.681,9 milioni di euro al 31 dicembre 2021. I dipendenti del Gruppo, a fine settembre 2022, sono pari a 5.400, in crescita di 264 unità rispetto al 31 dicembre 2021. Tale incremento è riconducibile alla politica di rafforzamento delle competenze e allo sviluppo del business, coerentemente con il Piano Industriale 2021-2025 “Driving Energy”.

L’utile netto di Snam nei primi 9 mesi dell’anno si mantiene sopra quota 930 milioni (-0,6% a 932 mln). Gruppo ha presentato, tramite il suo Amministratore Delegato Stefano Venier, i risultati di mercato, che hanno visto anche crescere i ricavi del 10,3% a 2,4 miliardi. In rialzo del 2% gli investimenti tecnici a 883 milioni, mentre l’indebitamento finanziario netto è sceso da 14,02 a 12,94 miliardi. Confermati il piano di investimenti e la stima sull’utile netto a 1,13 miliardi a fine esercizio. Dedicano attenzione al tema tutti i principali organi di stampa, fra cu il Corriere della Sera con un articolo a firma di Fausta Chiesa, pubblicato lo scorso 11 novembre, che sottolinea: A fronte di un probabile stop definitivo di gazprom (e in attesa che le nuove trivelle si mettano in azione), il gas naturale liquefatto diventa sempre più importante e di conseguenza l’apporto dei rigassificatori. Da gennaio a settembre il Gnl arrivato in Italia è cresciuto del 27,1% a 10,13 miliardi di metri cubi.


Come hanno riportato vari organi di stampa, fra cui ANSA Lombardia: Secondo l’amministratore delegato Stefano Venier i risultati allo scorso 30 settembre “confermano la solidità del percorso del Gruppo anche in uno scenario incerto”. Venier indica “la buona performance di tutto il business in Italia, nonostante la riduzione delle tariffe regolate nelle attività gas, il contributo delle nostre partecipate estere e dei nuovi business legati alla transizione energetica” che insieme “hanno concorso alla stabilità degli utili e ci consentono di confermare la guidance di Gruppo a fine 2022”.
Il Manager ha anche tenuto a sottolineare come con l’ottenimento delle autorizzazioni per la messa in funzione delle navi rigassificatrici, si sta concretizzando una prima fase, fondamentale, del rimodellamento della sicurezza energetica nazionale. Questa dovrà però essere presto accompagnata da un potenziamento delle infrastrutture di trasporto e stoccaggio e da un’accelerazione delle iniziative per la transizione. Su questo terreno Snam conta di giocare “un ruolo di primo piano”.

In base a quanto emerge da uno specifico report realizzato in collaborazione tra le società “Trend Micro” (sicurezza informatica) e Celada (soluzioni per industria 4.0) sta crescendo in modo preoccupante il fenomeno degli attacchi mirati a danneggiare il funzionamento e la produzione, a entrare in possesso di dati e a ricattare le aziende attraverso i ransomware. Sempre in base al report, la manomissione dei parametri dei macchinari è il rischio principale. Rivolge attenzione al tema Cor.Com – Il Corriere delle telecomunicazioni, con un articolo pubblicato lo scorso 11 novembre: Industria 4.0: molti rischi in tema di Cybersecurity. Lo evidenzia una ricerca firmata da Trend Micro in collaborazione con Celada, secondo cui i progressi tecnologici della Quarta rivoluzione industriale hanno reso più efficienti i macchinari legati alla produzione, ma hanno anche messo i costruttori e gli utilizzatori di macchine utensili nel mirino dei cybercriminali. Le macchine a controllo numerico computerizzato sono infatti un punto fermo delle fabbriche smart e consentono alle aziende manifatturiere di produrre in serie prodotti complessi, con grande precisione e velocità. Quando sono connesse, sono però esposte a nuove e potenziali minacce che possono coprire una vasta gamma di scenari di attacco.

Nell’articolo viene sottolineato come al primo posto per numero di attacchi si trovano quelli in grado di provocare direttamente danni agli impianti, vale a dire manomettere lo stato di configurazione interna o i parametri di una macchina Cnc per influenzare il comportamento della macchina e danneggiare la macchina stessa, le sue parti o ciò che viene prodotto. Altrettanto insidiosi gli attacchi denial-of-service, rivolti a un sito di produzione con l’obiettivo di ostacolarne le operazioni alterando le funzionalità dei sistemi di gestione o attivando allarmi. Non mancano poi ifurti di dati: i cybercriminali entrano nei protocolli per scoprire ad esempio come viene prodotto qualcosa. In linea generale si spia la produzione e i sistemi di produzione. Nel caso di blocchi, ovviamente, segue quasi sempre la richiesta di un riscatto.

Ancora nell’articolo di Cor.Com: Per proteggere le macchine Cnc dagli attacchi, le aziende manifatturiere dovrebbero adottare misure di sicurezza, fra cui l’utilizzo di sistemi sensibili al contesto per il rilevamento e la prevenzione delle intrusioni industriali: questi sistemi possono aiutare a monitorare il traffico in tempo reale in relazione ai protocolli industriali delle macchine, in modo da poter distinguere meglio le richieste di lavoro legittime da attività potenzialmente dannose. Ancora, la segmentazione della rete: una corretta architettura delle reti, insieme a tecnologie di sicurezza standard come le reti locali virtuali e i firewall, è essenziale per limitare le interfacce esposte che potrebbero essere sfruttate dai criminali informatici. Per finire, una corretta gestione delle patch: i sistemi operativi e i software delle macchine Cnc devono rimanereaggiornati con patch per dissuadere i cybercriminali dallo sfruttamento delle vulnerabilità critiche.

La “nuvola digitale” è in pieno sviluppo e coinvolge direttamente “l’economia dei datacenter”. I servizi cloud (+18% nel 2022) alloggiano in edifici specifici che fanno da volano di innovazione e di occupazione per i territori. La continua crescita di gestione e archiviazione dei dati sta determinando uno sviluppo senza precedenti proprio di data center, in ambito pubblico e privato. Nonostante la crisi energetica e le incertezze socio-economiche, la domanda di data center in tutta Europa è in forte espansione. Essendo strutture energivore, si cerca inoltre di trovare l’equilibrio tra maggiori capacità di servizio/forniture e organizzazione maggiormente “green”.

Dedica attenzione al tema il quotidiano Il Sole 24 ore, con un articolo a firma di Antonio Dini, pubblicato lo scorso 13 novembre: L’Italia dei comuni si sta scoprendo sempre più l’Italia dei datacenter. Nel nostro Paese cresce sistematicamente il numero di infrastrutture per l’elaborazione dei dati e per la loro distribuzione tanto che non si può più parlare di poli isolati, ma di sistema. Indipendenti ma, per la natura stessa della rete, tra loro interconnessi. I centri di calcolo, come venivano chiamati un tempo, sono di diversi tipi. Alcuni di proprietà di singole aziende, altri di fornitori di servizi e un buon numero dei big hi-tech che sono poi i fornitori di servizi cloud e dei centri “edge” di ridistribuzione dei contenuti. Ma ci sono anche i supercomputer delle università e dei centri di ricerca pubblici e privati più quelli della pubblica amministrazione, delle telco e delle utility. Insomma, l’Italia si sta sempre più attrezzando per essere più digitale e, secondo il profilo che si vuole guardare, il numero cambia anche in maniera radicale: da più di trecento nell’ipotesi più “inclusiva” a circa 83 divisi in 33 aree diverse secondo l’analisi del 2020 di Data Center Map.

Come sottolineato nell’articolo de Il Sole 24 Ore, l’economia che si muove attorno ai datacenter è molto articolata, creando modelli propulsivi anche per l’indotto, aziende di servizi ma anche start up e centri di ricerca: Alla fine si tratta di ambienti altamente automatizzati che non hanno bisogno di un numero elevato di addetti. Però “illuminano” i territori e favoriscono l’aggregazione di piccole aziende innovative che dalla prossimità traggono vantaggio operativo. Secondo una ricerca del Politecnico di Milano, citata nell’articolo, anche il mercato dei produttori di cloud in Italia continua a crescere: Nel 2022 segna un +18% a 4,56 miliardi. Anno su anno i top spender sono state le Pmi, che al 52% utilizzano almeno un servizio cloud (+7%). La tipologia di cloud più usata è quella dei Public & Hybrid Cloud, ovvero l’insieme dei servizi forniti da provider esterni e l’interconnessione tra le nuvole pubbliche (aperte a tutti gli utenti) e quelle private (con computer dedicati a una sola azienda). È qui che c’è la crescita più significativa, con una spesa di 2,95 miliardi con una crescita del +22% spalmata sui diversi tipi di servizi utilizzati, guidati dal cloud come piattaforma (+33%).

Il trend è globale, ma l’Italia è spinto dal fattore ritardo. Come ricorda l’articolo, sono entrati nel nostro mercato tutti i Big tech (da Amazon a Google sino a Microsoft) ma il futuro non è statico. Vi è poi anche il progetto del cloud nazionale: entro il 2025 dovrà contenere il 75% dei dati degli uffici pubblici italiani, che oggi sono parcheggiati in 11mila centri di calcolo (spesso poco più di un server da ufficio) che, secondo l’Agenzia per l’Italia digitale, sono praticamente tutti (il 95%) a rischio cybersecurity per dotazioni insufficienti, ma anche per affidabilità e capacità elaborativa.

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